Fratture da fragilità: una priorità da prendere in carico
Con l’incremento della popolazione anziana sono necessari modelli organizzativi e una strategia attuale e futura per l’invecchiamento in buona salute.
Questo articolo della Presidente dell’Osservatorio nazionale sulle fratture da fragilità (Off), Dott.ssa Maria Luisa Brandi, evidenzia una realtà che sempre più emerge come necessità e strategia attuale e futura per l’invecchiamento in buona salute.
Dobbiamo ricordare che ci sarà un incremento della popolazione anziana e che i cosiddetti baby boomer alla fine di questo decennio avranno più di 65 anni. Si stima che vi sarà un aumento delle fratture da fragilità del 23% con conseguente compromissione della qualità della vita, aumento dei costi e dipendenza dall’assistenza sanitaria. Attualmente nel nostro Paese si contano ogni anno, circa 600 mila fratture da fragilità, di cui il 90% collegate con l’osteoporosi, malattia alla quale non si presta ancora la necessaria attenzione.
È quindi necessario che le fratture da fragilità vengano riconosciute come una priorità per la sanità pubblica e che si mettano in atto piani e progetti per la loro gestione e per la prevenzione secondaria. Per le persone che hanno subito una frattura da fragilità il rischio di una ri-frattura è di cinque volte più elevato rispetto a una persona sana.
Le attuali terapie sono in grado di ridurre di circa il 65% il rischio di ri-frattura, ma rimane ancora il problema del sotto-trattamento. Alcune fonti di letteratura indicano come il tasso globale di trattamento per le fratture da fragilità sia inferiore al 30%.
Quali aspetti alla base di questo problema?
Innanzitutto una carente attenzione al fenomeno e di conseguenza alla presa in carico. Mancano anche dei modelli organizzativi che consentano alla persona con frattura di fragilità di “rimanere nel sistema” e di accedere ai trattamenti farmacologici ed educativi e ai follow-up.
Quali possibili soluzioni?
Innanzitutto, riconoscere il problema come prioritario e continuare a studiarlo, aggiornando le Linee Guida e innovando anche sulle soluzioni farmacologiche. Poi, strutturare modelli e percorsi di presa in carico e facilitarne l’accesso. Infine, come sempre, monitorarne gli esiti.
A cura di Annalisa Pennini, PhD Scienze Infermieristiche e Sanità pubblica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata