Fratture da fragilità

Fratture da fragilità: una priorità da prendere in carico

Con l’incremento della popolazione anziana sono necessari modelli organizzativi e una strategia attuale e futura per l’invecchiamento in buona salute.

NEWS pubblicata il 08 Ottobre 2021

Questo articolo della Presidente dell’Osservatorio nazionale sulle fratture da fragilità (Off), Dott.ssa Maria Luisa Brandi, evidenzia una realtà che sempre più emerge come necessità e strategia attuale e futura per l’invecchiamento in buona salute.

Dobbiamo ricordare che ci sarà un incremento della popolazione anziana e che i cosiddetti baby boomer alla fine di questo decennio avranno più di 65 anni. Si stima che vi sarà un aumento delle fratture da fragilità del 23% con conseguente compromissione della qualità della vita, aumento dei costi e dipendenza dall’assistenza sanitaria. Attualmente nel nostro Paese si contano ogni anno, circa 600 mila fratture da fragilità, di cui il 90% collegate con l’osteoporosi, malattia alla quale non si presta ancora la necessaria attenzione.

È quindi necessario che le fratture da fragilità vengano riconosciute come una priorità per la sanità pubblica e che si mettano in atto piani e progetti per la loro gestione e per la prevenzione secondaria. Per le persone che hanno subito una frattura da fragilità il rischio di una ri-frattura è di cinque volte più elevato rispetto a una persona sana.

Le attuali terapie sono in grado di ridurre di circa il 65% il rischio di ri-frattura, ma rimane ancora il problema del sotto-trattamento. Alcune fonti di letteratura indicano come il tasso globale di trattamento per le fratture da fragilità sia inferiore al 30%.

Quali aspetti alla base di questo problema?

Innanzitutto una carente attenzione al fenomeno e di conseguenza alla presa in carico. Mancano anche dei modelli organizzativi che consentano alla persona con frattura di fragilità di “rimanere nel sistema” e di accedere ai trattamenti farmacologici ed educativi e ai follow-up.

Quali possibili soluzioni?

Innanzitutto, riconoscere il problema come prioritario e continuare a studiarlo, aggiornando le Linee Guida e innovando anche sulle soluzioni farmacologiche. Poi, strutturare modelli e percorsi di presa in carico e facilitarne l’accesso. Infine, come sempre, monitorarne gli esiti.

A cura di Annalisa Pennini, PhD Scienze Infermieristiche e Sanità pubblica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata